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Tu chiamale, se vuoi, manutenzioni. È tutta colpa del global warming?

By |2018-11-15T17:47:49+00:0015/11/2018|

Il maltempo che si è abbattuto in questi giorni in Italia merita qualche riflessione – a margine della questione del global warming e dei cambiamenti climatici, ritenuti ormai all’unanimità di origine antropica, ma su cui forse vale la pena di leggere, giusto per esercizio critico, qualche contributo di due tra i maggiori uomini di scienza del nostro paese, Rubbia e Zichichi – riguardo allo stato di conservazione e di manutenzione del patrimonio immobiliare nelle nostre città, e in particolare degli edifici a destinazione pubblica, delle strade, dei marciapiedi, dei giardini e dei parchi urbani (per non parlare degli interventi a tutela dei fiumi e dei corsi d’acqua così come delle coste).

Molto semplicemente, nonostante il costante ripetersi di fenomeni come quelli degli ultimi giorni, questa manutenzione non viene fatta quasi per nulla o è comunque evidentemente insufficiente.

Ma perché?

È un dato di fatto che nel nostro paese – un po’ perché la nostra democrazia è fragile ed il senso civico, di appartenenza alla comunità, latita, c’entrerà il familismo amorale – il rispetto delle cose pubbliche è quello che è, essendo considerate non di tutti ma sostanzialmente di nessuno.

Per contrasto, l’attenzione e la cura che mediamente viene riservata alle abitazioni private, alle nostre case, è da sempre molto alta.

Insomma, davvero stridente è la distanza che separa i tinelli in noce massello e le vasche idromassaggio delle nostre case con il desolante spettacolo delle buche malamente rattoppate per le strade, delle pensiline degli autobus brutalizzate dai vandali. L’altro giorno, rientrando a casa, mia figlia mi ha descritto la sua nuova scuola, e mi ha detto che le finestre dell’aula della sua classe danno su un cortile che è inaccessibile perché una porzione dell’edificio è a rischio di crollo. Ho provato a chiedere se stanno facendo dei lavori, ma no, è così già da qualche anno, il cortile è stato transennato e dichiarato inagibile, poi si vedrà.

Il divario tra la cura ed il grado di manutenzione degli spazi pubblici e di quelli domestici è d’altra parte nient’altro che l’icastica rappresentazione della voragine del debito pubblico italiano a cui fa da contraltare la propensione al risparmio delle famiglie, tra le più patrimonializzate al mondo e quasi tutte con case di proprietà: in altre parole, ci siamo finanziati i soggiorni, l’aria condizionata, i box doccia, con le buche per strada e le panchine divelte nei parchi pubblici. È una scelta, più o meno consapevole, ma è una scelta. Che può però avere qualche controindicazione quando si abbattono gli alberi perché tira vento e ci si rimane schiacciati sotto.

So che è un argomento controcorrente, ma tutte le volte che mi capita di andare a Londra – si sa che da quelle parti sono irrimediabilmente liberisti ed egoisti – non posso non constatare la perfezione dei loro giardini – non solo Hyde Park, anche i giardinetti delle periferie -, la cura, per noi maniacale, di tutti i loro luoghi pubblici (dalle stazioni della metropolitana agli uffici postali, agli stadi, perfino i loro cantieri sarebbero da fotografare) a cui corrisponde la modestia (spesso anche il disordine, ma questo è un altro discorso) delle loro abitazioni, che non interessano neanche i ladri che non saprebbero cosa portarsi via: anche questa è una scelta, che può però essere utile quando tira vento per evitare che i rami degli alberi si spezzino e finiscano sulle macchine di sotto.

C’è poi un’altra considerazione da fare.

Da noi, in genere, la manutenzione del patrimonio immobiliare pubblico, il global service sugli edifici comunali, il pronto intervento stradale e la cura dei corsi d’acqua, la manutenzione dell’illuminazione pubblica, la gestione dei giardini e delle aree verdi, è affidato dai Comuni a società in house, partecipate e controllate dagli stessi enti: si tratta di soggetti spesso sprovvisti delle competenze necessarie ad intervenire in ambiti anche così diversi e che operano in un contesto evidentemente sottratto alla concorrenza.

Inoltre, all’interno di queste società di solito il numero degli operai rispetto al personale amministrativo è molto esiguo e buona parte delle consistenti risorse finanziare (a cui contribuisce ogni contribuente) di cui dispongono tali strutture è impiegato per il pagamento degli stipendi dei propri dipendenti e, comunque, per il funzionamento della macchina amministrativa, e solo un residuo – spesso addirittura inferiore al 50% – è effettivamente rivolto alla fornitura di servizi ed attività prestata all’esterno.

Come conseguenza, la qualità del servizio reso alla collettività è sotto gli occhi di tutti.

Ma anche qui si tratta di una scelta. Evidentemente si ritiene prioritario pagare stipendi e conservare posti di lavoro (che in realtà consistono in redditi di cittadinanza ante litteram) e rendite di posizione di vario genere.

E tanto meglio se è tutta colpa del global warming.

 

Genova, 5 novembre 2018

 

Matteo Repetti

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